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1 Luglio 2024
Il nostro nuovo articolo pubblicato su:
di Antonio Acunzo
CEO, MTW GROUP
INTERNAZIONALIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE sono due processi che, a partire dal 2020, hanno sperimentato profonde variazioni dovute a fattori che hanno fortemente contribuito a ridisegnare le mappa delle relazioni geopolitiche e geo-economiche a livello globale, modificandone le priorità, gli obiettivi e gli sviluppi.
Oggi la globalizzazione non è più un fenomeno guidato solo dall’economia, poiché si è evidenziato un nuovo contesto mai prima considerato e divenuto oggi dominante: il rischio politico, con ripercussioni di riallineamento e nuove alleanze tra blocchi di Paesi accomunati da confini, interessi e principi comuni, con evidenti riflessi negli scambi internazionali.
Il decoupling USA-Cina, cioè il processo di allentamento dell’interdipendenza tra i due Paesi in ottica di rivalità geo-strategica –portato avanti con una politica mirata a ridurre l’import americano dalla Cina, aumentare i posti di lavoro negli USA e garantire la sicurezza e la protezione delle infrastrutture civili e militari americane – ha visto svilupparsi il nearshoring delle imprese americane. Che hanno progressivamente ridotto piani di espansione e sospeso investimenti in Cina, ritrasferendo in casa la capacità produttiva e investendo in Paesi vicini, specie nell’area Caraibica e latino-americana.
Di fatto, il nearshoring si è sviluppato proprio in risposta alla globalizzazione della produzione che ha reso le catene di approvvigionamento più vulnerabili alle disruption.
Da un sondaggio di AT Kearney è emerso che il 70% dei CEO di imprese americane ha considerato il rientro in USA di alcune linee operative o lo spostamento di linee produttive in Paesi più vicini. Questo ha riguardato, in particolare, la Repubblica Dominicana, che non solo è assurta al ruolo di polo industriale per grosse imprese USA quali Johnson & Johnson, GE Energy, Medtronic, beneficiando in qualità del prodotto, ottimizzazione della produzione e vantaggi di trasporto verso i porti della costa orientale americana, ma ha promosso il Paese come centro distributivo con accesso veloce ai mercati regionali. Il che ha attirato imprese multinazionali del calibro di Nestlé e IKEA che hanno scelto il Paese come polo distributivo, beneficiando di riduzioni o azzeramento di tasse e dazi.
Se il nearshoring è stato fin da subito concepito e interpretato in ottica di avvicinamento, nella pratica è anche una strada a doppio senso, e molte imprese cinesi hanno strategicamente intrapreso un percorso inverso per bypassare i vincoli e le restrizioni imposte dal decoupling USA-Cina con l’obiettivo di esportare negli Stati Uniti. Una strategia che i cinesi hanno adottato per una maggiore prossimità geografica al mercato target, implementando un flusso di investimenti diretti in Messico per produrre prodotti consumer e mass market destinati alla grande distribuzione nel mercato USA, inclusi alcuni grandi retailer come Walmart e Costco.
Le cinque buone ragioni:
1. l’accordo di free trade USMCA tra USA, Messico e Canada, che consente l’export senza imposizione di dazi doganali;
2. un prodotto finito al 100% Made in Mexico e quindi messicano a tutti gli effetti e non cinese, anche se lo è il capitale d’investimento;
3. la vicinanza geografica al mercato USA, il maggiore consumer market al mondo;
4. una manodopera qualificata a basso costo (negli USA il salario medio dei lavoratori di fabbrica è pari a 16 dollari l’ora e 4,50 in Messico, inferiore anche ai 6,50 della Cina);
5. ridotti costi di trasporto via terra verso gli Stati Uniti.
IL CASO MAN VAH HOLDINGS:
Man Wah Holdings, azienda cinese con sede a Hong Kong e quotata in borsa sia a Hong Kong che a Singapore, leader a livello globale nel segmento dei divani reclinabili con meccanismo elettrico che, per sviluppare ed espandere la distribuzione verso gli USA, ha investito nel 2022 nell’Hofusan Industrial Park (40 km a nord della città di Monterrey nello stato di Nuevo Leon nel nordest del Messico) in una struttura produttiva verticalmente integrata e tecnologicamente all’avanguardia di oltre 230.000 mq, con capacità produttiva di 3.500 container al mese spediti oltre confine negli Stati Uniti (l’impianto produttivo è a soli 219 km di distanza stradale dal valico doganale americano di Laredo, in Texas).
Come si è detto, anche se il capitale è cinese, il prodotto finale è 100% Made in Mexico e considerato totalmente messicano, il tutto a beneficio dell’export messicano che non solo registra un costante trend di crescita, ma ha portato il Paese a sostituire la Cina come principale trading partner degli Stati Uniti.
Ogni lotto nel parco industriale sino-messicano di Hofusan è già stato acquisito da 35 imprese cinesi interessate al mercato USA (10 oggi attive e altre 25 con piani di costruzione già programmati da qui al 2027) così che le eventuali conseguenze della trade war USA-Cina non impatteranno sugli investimenti cinesi in Messico, che è diventato il nuovo hub offshore per gli investimenti cinesi mirati alla produzione dedicata all’export.
IL CASO BYD AUTO:
Sempre nel 2023, il colosso cinese Lingong Machinary Group, che produce scavatori e attrezzature edili pesanti, ha investito 5 miliardi di dollari nello stato di Nuevo Leon, inclusa una operazione greenfield per un nuovo impianto produttivo; Trina Solar, leader mondiale nell’energia solare, ha investito un miliardo di dollari nel fotovoltaico; Hisense Group, multinazionale cinese di elettrodomestici e il più grande produttore cinese di televisori, ha investito, già nel 2021, 260 milioni di dollari per un impianto di produzione di frigoriferi; Lenovo, gigante cinese della tecnologia, ha investito in un impianto per l’assemblaggio di computer, server e rack, cui sta seguendo un nuovo investimento di 15 milioni di dollari specificamente dedicato allo sviluppo di IA per l’America Latina.
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