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La “bidenomics” è sana e va a gonfie vele

2023-09-19 12:20

Antonio Acunzo

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La “bidenomics” è sana e va a gonfie vele

Quando si parla dello stato dell’economia di un Paese risulta sempre complesso dare un giudizio oggettivo sull’operato del governo in carica soprattut

Quando si parla dello stato dell’economia di un Paese risulta sempre complesso dare un giudizio oggettivo sull’operato del governo in carica soprattutto quando sono molteplici i fattori esterni e le variabili che possono influenzare lo stato dell’arte, come per esempio le conseguenze di un conflitto esterno (l’invasione russa in Ukraina), una pandemia globale (come il covid), le problematiche di disruption della supply chain (come sperimentato a livello planetario negli ultimi 3 anni), le fluttazioni del prezzo del petrolio (che incide direttamente sul prezzo della benzina alla pompa e sul costo del carburante per il trasporto aereo), i tassi di inflazione di salgono e scendono.

 

Se poi parliamo dello stato dell’economia degli Stati Uniti, la maggiore economia al mondo e che da sola corrisponde ad ¼ del Pil globale, diventa ancora più complesso perché parliamo di un Paese immenso e complesso, composto da 50 stati e che spazia su 6 fusi orari tra Boston e Honolulu.

 

Di fatto, l’economia sotto la presidenza Biden, quella che alla Casa Bianca viene chiamata Bidenomics, è sana e in crescita.

 

Biden ha previsto investimenti diretti nelle infrastrutture (sono ben 35.000 i nuovi progetti che beneficiano di fondi grazie alla Bipartisan Infrastructure Law), nella transizione energetica, nella produzione di semiconduttori (settore critico per la sicurezza nazionale), favorendo le imprese Made in America attraverso un piano di incentivi che molti economisti non americani hanno definito come una forma di protezionismo ma che di fatto ha azzerato il gap di perdita del Pil a causa del covid, con una economia che cresce e una disoccupazione ai minimi storici perché sono proprio le imprese Made in America a beneficiare dei fondi federali per la ricostruzione delle infrastrutture.

 

Quando Biden è entrato in carica il suo obiettivo primario è stato quello di ricostruire l’economia degli Stati Uniti partendo “from the middle out and the bottom up, not the top down”, dal centro e dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso.

 

Come indicato sul sito della Casa Bianca: “Biden ha riconosciuto che alcune di queste sfide erano radicate in una fallita teoria a cascata che sosteneva la riduzione delle tasse per i ricchi e le grandi società, la riduzione degli investimenti pubblici in priorità critiche come le infrastrutture e l’istruzione e l’incapacità di salvaguardare la concorrenza di mercato”.

 

Al cuore della Bidenomics vi è il cambiamento radicale della direzione economica sul principio che il modo migliore per far crescere l’economia è dal centro verso l’esterno e dal basso verso l’alto e dove la visione economica si basa su 
 

tre punti fondamentali:



 

1) Fare investimenti pubblici intelligenti in America
 

2) Responsabilizzare ed educare i lavoratori per far crescere la classe media
 

3) Promuovere la concorrenza per ridurre i costi e aiutare gli imprenditori e le piccole imprese a prosperare.​

 

Joe Biden (2021-oggi):

Pil +2,6% – disoccupazione 3,6% – inflazione 2,9% – tasso di povertà 11,6% – reddito disponibile reale procapite $46.682

 

Donald Trump (2017-2021):

Pil +2,6% – disoccupazione 6,4% – inflazione 1,4% – tasso di povertà 11,9% – reddito disponibile reale procapite $48.286

 

Barack Obama (2009-2017):

Pil +1% – disoccupazione 4,7% – inflazione 2,5% – tasso di povertà 14% – reddito disponibile reale procapite $42.914

 

George W. Bush (2001-2009):

Pil -1,2% – disoccupazione 7,8% – inflazione 0 – tasso di povertà 13,2% – reddito disponibile reale procapite $37.914

 

Bill Clinton (1993-2001):

Pil +0,3% – disoccupazione 4,2% – inflazione 3,7% – tasso di povertà 11,3% – reddito disponibile reale procapite $34.216

 

Inoltre, a favore di Biden anche il fatto che la sua presidenza ha un decorso a oggi di solo 2 anni e mezzo da quando si è insediato alla Casa Bianca.

 

E di fatto, come ha anche sottolineato il Financial Times del 26 luglio 2023, Biden è diventato Presidente nel pieno della pandemia covid e nel picco della supply chain disruption mondiale e oggi gli Stati Uniti hanno “comfortably outperformed”, ampiamente sovraperformato e superato qualsiasi altro Paese nella ripresa, con un tasso di disoccupazione oggi che è il più basso nella storia americana degli ultimi 50 anni, una inflazione in continua discesa e una economia Usa che è oggi del 10% più forte rispetto a due anni fa. 

 

I numeri raccontano questo successo: 

13 milioni di nuovi posti di lavoro di cui 800.000 nel solo settore manufatturiero. 

 

Oltre ad un rinnovato e forte stimolo all’imprenditoria americana che ha favorito ben 10,5 milioni di nuovi piccoli imprenditori che tra il 2021 (5,4M) e 2022 (5,1M) hanno incorporato “new small businesses”, l’equivalente di nuove micro e piccole imprese.

 

In questa complessità risalta poi il fatto che alcuni dei 50 stati degli Usa contribuiscono più di altri alla crescita economica del Paese e sono meglio strutturati sulla base di metriche quali lo stato di salute della finanza dello stato, la crescita dei posti di lavoro, l’evoluzione del mercato real estate, la migrazione interna di ricchezza, la migrazione interna di Corporate HQdelle grandi imprese da uno stato all’altro, dove si sviluppa la nuova imprenditorialità e dove crescono le nuove imprese.

 

La CNBC, network americano e leader mondiale nell’informazione del business, ha pubblicato lo scorso 13 luglio 2023 la lista dei 10 stati che guidano la crescita economica degli Usa e hanno anche la migliore performance dell’economia oltre ad avere la capacità di essere nella posizione migliore per affrontare le sfide globali, aspetto questo che influenza la decisione di molte aziende su dove trasferire la propria sede oppure creare nuove divisioni e gestire nuovo business.

 

Al primo posto, come migliore economia Usa, si posiziona lo stato della Florida, con una economia valutata A+, con la tripla AAA di Moody’s, una crescita del Pil del 4% e una crescita dei posti di lavoro del 4,9% che ben alimenta il flusso migratorio di lavoro specializzato dagli altri stati.

 

Non mi dilungo oltre sulla Florida e per approfondimenti rimando ai miei precedenti articoli pubblicati sui numeri di Luglio/Agosto (il lusso americano si è spostato in Florida), di Giugno (Investimenti diretti e M&A), di Maggio (Miami il nuovo polo globale per lo sviluppo Tech e AI).

 

Al secondo posto si posiziona lo stato del Texas, con una economia valutata A+, con la tripla AAA di Moody’s, una crescita del Pil del 3,4% e una crescita dei posti di lavoro del 4,8%.

 

Al terzo posto, lo stato del North Carolina, con rispettivamente: A, tripla AAA di Moody’s, Pil +3,2%, jobs +3,4%.

 

Al quarto posto, lo stato della Georgia, con rispettivamente: A-, tripla AAA di Moody’s, Pil +2,8%, jobs + 3,4% 
 

 

A seguire poi, dal quinto al decimo posto troviamo gli stati di: Tennessee (#5), Utah (#6), South Carolina (#7), Idaho (#8), Indiana (#9) e Delaware (#10).

 

Stati tradizionalmente considerati come i motori dello sviluppo economico, e che ancora oggi giocano un ruolo importante, pagano però lo scotto di non essersi adeguati velocemente ai cambiamenti economici globali e quindi slittano nella classifica fuori dalla top ten: New York (#12 per l’economia ma #46 per la crescita di posti di lavoro), Pennsylvania (#18 per l’economia), Illinois (#33 per l’economia), California (#37 per l’economia).

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